in questa strana estate, troppo piovosa prima per permettermi di uscire col minimeo, troppo calda adesso, mi ritrovo a passare un sacco di tempo in casa.
e per fortuna che ci sono gli amici che, compatibilmente con i ritmi di vita normali, che scorrono con un tempo tutto diverso rispetto a quelli di una neomamma, mi fanno compagnia in vari modi.
e così mi sono ritrovata a parlare con persone con cui non avevo mai parlato a lungo, a rispolverare rapporti da un po’ rimasti in un cassetto, ed a ritrovarmi piena di gratitudine per quelli che – si sa – ci sono sempre, ma mi stupiscono ogni giorno.
e ho scoperto cose strane. alcune belle: nuovi amori, bimbi che nasceranno ed altri che ancora non si son decisi a spuntare, amicizie nate come aghi in un pagliaio, vite che cambiano, che crescono, che si rinnovano, persone cambiate da un incontro o da una svolta della strada.
e altre meno belle: problemi tanti, certo. ma soprattutto, e questo mi ha colpito, tante persone che si trovano a vivere in una gabbia. che si sentono soffocare in panni che non sono i loro. che magari nemmeno lo ammettono ma quando ti parlano si capisce lo stesso, e tu non sai se urlargli: ma guardati, non sei tu, non sei felice. oppure aiutarli a stare in quei panni stretti nel miglior modo possibile. alcuni che ti parlano di scelte fatte per un ideale, o in nome di "così deve essere", o di una giustizia non si capisce se divina o popolare. ma negli occhi hanno una luce triste. e non ti sembra che costruiscano la loro vita come gli scalpellini medievali costruivano le cattedrali, ma come certi muratori cafoni, che sputano sulle pietre e bestemmiano Dio e il lavoro che hanno per le mani.
ecco, quardando questi io mi sono resa conto che devo proprio ringraziare, perchè sono libera. perchè mi sento libera di parlare di me e della mia vita, perchè non mi sento davvero giudicabile in base ai parametri umani. mi spiego: non mi interessa essere "la mamma perfetta" o "la ciellina perfetta" o "la padrona di casa perfetta". i miei amici non si aspettano questo da me, il mio Dio non si aspetta questo da me.
e anche quando qualcuno prova a misurarmi così, mi vien da ridere. non me la prendo nemmeno. non prenderò un grande punteggio, su quel metro. e allora? mi vuoi bene lo stesso? quindi il problema dove sta?
forse son cose scontate, ma ieri sera mi sono improvvisamente resa conto che sentirsi così liberi non è normale.
come dice meglio una frase di Grossman, che ho di recente citato ad un amico su facebook (e l’ho avuta attaccata sul letto per tanti tanti anni):
"Un tempo pensavo che la libertà fosse la libertà di parola, di stampa, d’opinione. Ma la libertà è tutta la vita di tutta la gente; ecco cos’è: è il diritto di seminare quel che vuoi, di fare scarpe, soprabiti, di cuocere il grano che hai seminato, per venderlo o non venderlo, come vuoi tu; e anche se fai il meccanico, o il fonditore, o l’artista, vivi e lavora come vuoi tu, e non come ti ordinano."
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